Myriam Cappelletti ha tratto dalla storia ancestrale dell’uomo, dai meandri più profondi del suo

inconscio, un repertorio di segni “cosmogonici” di immagini e di tecniche che poi ha personalmente

rielaborato in un linguaggio decisamente post-moderno, ovvero che ha superato le barriere labili di

quel presunto ed obsoleto limes tra figurativo ed informale, quel confine, cioè, che costituisce la

sponda incerta e mutevole del fiume, ora calmo, ora impetuoso, del fluire dell’esistenza, del cui

riflesso si riveste l’universo onirico e segnico di una semiotica concettuale e lirica. Da qui una

consapevolezza della percezione dell’infinito, assieme a una potente sensazione di libertà. In effetti,

le opere della Cappelletti racchiudono un intero “universo” e nel labirinto di sculture-pictae e di tele

incrostate di intonaci evanescenti, di “pietre” fatte di aria cromaticamente dissolventesi nei toni

pastello, nel dedalo di ”strade”, tra i virtuali affreschi ora grumosi ora acquosi o eterei, tra gli inserti

di stoffe sgargianti, di materiali assiepati, disegni arrotolati, perlinature lucenti e terracotte dal

sapore di ex-voto archeologici, in questo vorticoso e nello stesso tempo delicato “disordine” emerge

tutta la vis ed il furor pingendi dell’artista, il suo modo coinvolgente e totalizzante, allucinatamente

lirico e passionario, di intendere l’arte.

La pittura “informale“ di Myriam, soprattutto i suoi “muri” graffiati, incisi, tormentati nel segno, le

sue pareti ricoperte di frasi o lettere cancellate dal tempo e rese “intra-visibili” sono pareti interiori

che, al pari di un palinsesto, raccolgono emozioni e sentimenti di un’intera esistenza, divenendo

riflessione come in un personalissimo diario.

Giampaolo Trotta