MYRIAM CAPPELLETTI diario pittorico dell’io inconscio.

"Lontano, sdraiato sul Prato di bianche betulle,
forse tu canti alle stelle del cielo
alle onde del mare e alla neve argentata".

Un’anima alla continua ricerca di sé stessa e della vita che fugge, da sempre, attraverso la ruota del tempo. Anche in senso inverso perché, a volte, il tempo ti riporta il profumo degli “hivers d’antan”. Con una metà volitiva che deve portare avanti, al meglio, il quotidiano femminile, e l’altra in cui brucia la fiamma di un’artista che, per far sopravvivere i propri sogni, ha bisogno di ascoltare quella voce che arriva dal cuore e che la costringe a creare e ricreare sulle tele il proprio mondo interiore. Fissare la memoria, la verità del quotidiano, gli stati d’animo cristallizzati o i sogni rimasti nella sfera dell’inconscio non è cosa semplice, ma Myriam Cappelletti vi riesce con forza leggera. Così nascono i quadri e gli affreschi sempre più materici ed astratti ma, al contempo, composti da frammenti disgregati e quasi annullati di ricordi, nuvole di colore, velature cromatiche e microcosmi in cui solo lei riesce a penetrare fino in fondo. Tu puoi solo cercare di capire, ma si tratta di un giardino molto personale in cui, per entrare a leggere il diario pittorico, devi avere la chiave del cuore. Altrimenti non ti resta che guardare dal di fuori ed aspettare che i suoi sogni ad occhi aperti si concretizzino, almeno per un istante, in luce sulle tele e ti raccontino barlumi di realtà interiore. Il tutto in una sinfonia di opera sempre più bianche o comunque monocrome, incise con segni magici, ridotte all’essenziale, quasi quadro non quadro.

Altre volte le sue opera sono spontaneamente figurative e simboliche. Appaiono dense di particolari e caratterizzate da una dicotomia ricorrente: le figure delle due bambine, le ruote, gli alberi  che protendono verso il cielo rami secchi che sembrano, al contempo, chiedere aiuto o infondere la speranza che qualcosa deve cambiare, i campi pieni di luce antica, l’antagonismo fra uomo e donna mascherato con i toni del mito.

Un ritorno al mito che sembra, quasi, voler essere un rientro nel grembo materno dove ogni situazione è possibile e dove che giudica è, a volte, anche qualcuno che ha paura di essere giudicato. Dove è importante quello che sei, ma soprattutto ciò che vorresti essere.

Ed è come se agli oggetti ne sovrapponesse, anche solo parzialmente, altri quasi ad imitazione dei pensieri e delle situazioni che mutano in continuazione. Panta rei: un mondo fluttuante, nell’aria o nell’acqua, un mondo di passaggio dove tutto scorre e dove siamo chiamati a cogliere, se possible, il nostro piccolo istante di felicità. Un mondo di speranza è, malgrado la sofferenza di vivere, sete di libertà e di verità.

Potremmo dire che sono tele che ti danno la stessa sensazione ed emozione di quando, per errore, scatti più di una fotografia una sopra l’altra e ti accorgi che il risultato è sicuramente superiore a quello che avresti potuto ottenere con una sola, sia pur splendida immagine. Insomma siamo di fronte ad un cromatismo razionale e, al contempo, astratto che non disturba la continuità delle cose ma che anzi, attraverso le emozioni e ad un’indagine mentale, le trasfigura e ridona loro un ordine compositivo. Diverso, personale e doppio.

Una dicotomia continua di situazioni e di stati d’animo che porta questa allieva di Loffredo e di Breddo, grazie ad un bagaglio tecnico completo e ad un’inesauribile curiosità, ad esplorare qualsiasi tipo di situazione. Con risultati che parlano da soli.

Alberto Gavazzeni